Festa della Liberazione

11/29

La fase polacca è stata, senza dubbio, quella guardata con maggiore sospetto e preoccupazione, dal...

La fase polacca è stata, senza dubbio, quella guardata con maggiore sospetto e preoccupazione, dal gruppo familiare e amicale, all’interno del progetto location-independent, che di per sé, ha già destato molte perplessità. 

Qui a Cracovia, ci troviamo a 256 km dal confine ucraino, in cui ormai da oltre due mesi, si combatte un conflitto lacerante e sfiancante contro gli invasori russi. 

La maggioranza dei profughi ucraini, già dagli albori della guerra, si è rifugiata in terra polacca, che fin da subito ha dimostrato piena accoglienza, partecipazione, sostegno e supporto con ogni mezzo a disposizione. Ho pensato anche di arrivare in macchina al confine, per poter offrire un mezzo a chi cerca di scappare dai territori vessati dalla guerra, ma è stato reputato troppo rischioso. 

Nel nostro viaggio, stiamo portando la targa italiana in giro per l’Europa. Allo stesso modo, devo ammettere che mi appassiona, se non proprio ossessiona, osservare nuove targhe all’estero, insieme alla tipologia di auto, magari spiando chi c’è all’interno dell’abitacolo, per immaginare e raccontare una storia sempre diversa di chi, come noi, si muove in nuovi territori, via terra. Non che per via aerea il mio spirito sia diverso, per essere onesta. 

Già nel passaggio dal confine italiano con quello austriaco, abbiamo notato una maggior incidenza di targhe ucraine, fino a Praga, dove le vedevamo spesso parcheggiate in zone centrali della città, che abbiamo percorso anche a piedi. Nell’arrivo in Polonia, poi, sono aumentate notevolmente, già in fila ai caselli autostradali, e poi in centro a Cracovia. 

In ogni parte del Paese si intravedono riferimenti e manifestazioni di sostegno.

In autostrada diversi cartelli elettronici segnalano un numero di telefono dedicato per i profughi ucraini, le città sono disseminate di bandiere ucraine e cartelloni contro la guerra e contro Putin, in piazza, ogni giorno, un gruppo di persone si riunisce sotto la statua di Adam Mickiewicz, con banchetti, megafoni, telecamere, bandiere, per raccontare, commossi, frammenti dei loro ultimi istanti a Kiev. Storie di famiglie lasciate indietro, che cercano di fuggire da luoghi devastati, ed esprimere l’immensa gratitudine per questa tangibile accoglienza, di questo popolo così amico e vicino. Non vi sono solo polacchi a partecipare, gli stranieri che si trovano qui a Cracovia, sanno che questo è un centro per riunirsi, emozionarsi, mostrare la loro vicinanza e fare dei gesti concreti per sentirsi utili. 

Non vi sono solo i grandi gesti a dare nell’occhio. 

Mi è piaciuta l’iniziativa di una catena di cucina tradizionale, molto diffusa a Cracovia, Pierogarnia, specializzata in pierogi, il raviolo tipico polacco, che ha modificato la denominazione del piatto forte del menù. I pierogi “ruskie” sono stati cancellati a penna su ciascuna tovaglietta stampata, per essere rinominati come pierogi “ukraińskie”: i ravioli a base di patate, cipolla e formaggio, i miei preferiti. 

E’ solo un piccolo gesto che, però, colpisce immediatamente e mostra una grande determinazione a schierarsi in modo netto, con tutto l’eco di marketing che comporta una simile catena nazionale, a sostegno dei più deboli in questa vicenda. 

Anche nel residence che ci ha ospitati a Cracovia, abbiamo notato la presenza di diverse famiglie ucraine, con cui abbiamo pure dovuto competere, nella ricerca giornaliera del parcheggio sotto casa. 

Una macchina con targa ucraina, in particolare, ha attirato subito la mia attenzione, dopo averci soffiato l’ultimo parcheggio per pochi secondi. Si trattava di un SUV bianco, di una coppia, con un bambino molto piccolo, nel seggiolino posteriore, e una montagna di scatoloni, buste e valigie, ammassate, fino a coprire quasi completamente il lunotto posteriore. 

Eravamo contenti, quindi, di aver ceduto il parcheggio a loro, nonostante noi continuassimo a perlustrare diversi isolati alla ricerca di uno libero. 

Il giorno successivo, nel dirigerci verso la colonnina di pagamento del parcheggio, passiamo accanto al SUV che ormai consideriamo sotto la nostra tutela, e noto un bigliettino, chiuso in una busta, troppo simile a un regalo che abbiamo ricevuto a Graz. 

Mi sporgo per leggere alcuni dettagli del bigliettino e per tradurli dal polacco, e ho la conferma che si tratta proprio dello stesso regalo.

Questo no, non può essere accettabile.

Sono profondamente sdegnata per tale trattamento, rigidità e insensibilità nei confronti del popolo che accolgono e che difendono, e vorrei offrire alla famiglia ucraina la mia contestazione, proponendone il ricorso.

Il giorno successivo, a quel bigliettino se ne aggiunge un altro della stessa entità. Evidentemente alla vigilessa in borghese, che controlla più volte al giorno tutto l’isolato, non è bastato il danno già arrecato, ma si è distinta per una reiterazione del dolo. Qui, quindi, è il momento di portare l’attenzione pubblica a un caso del genere.

Sono riuscita a intercettare, solo attraverso la finestra, la famiglia ucraina prima che andasse via: tutte le valigie, i sacchi, le buste e i cartoni, riempivano l’abitacolo, con il bambino e la mamma che si sono ritagliati uno spazio nel sedile posteriore e il padre era alla guida.

Erano già abbattuti e addolorati per altri motivi più seri, per accorgersi delle multe che sventolavano sul parabrezza anteriore dell’auto, che sono rimaste lì, a fargli compagnia nel viaggio verso un nuovo posto di pace, che possa accoglierli, e offrire loro una nuova casa.

“E spediteci lì la multa”, avranno pensato.

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