A misura d’uomo pt. 2

17/29

La dimensione umana presburghese ha trovato la sua massima espressione proprio con l’ultima sera.  Dopo...

La dimensione umana presburghese ha trovato la sua massima espressione proprio con l’ultima sera. 

Dopo tanta pioggia, finalmente una giornata di sole vissuta come turisti a spasso per la città, nei giardini presidenziali, nel castello in cima alla collina, nel bistrot in stile mensa, per una varietà di zuppe gustose, e nel caffè démodé per torta, biscotti e cappuccino. Infine, non può mancare un detour per raggiungere la Chiesa Blu, progettata in stile art nouveau, per apprezzarne l’iconico colore dall’esterno, e renderla il nostro backstage per un altro esperimento di vlogging. 

In queste esplorazioni, l’occhio del turista si associa all’occhio dell’imprenditore, alla ricerca di potenziali clienti, allo studio di luoghi e persone a cui proporre una value proposition, che sia sempre più convincente, sulla scorta dei feedback raccolti. 

E stasera il luogo di lavoro è una pizzeria, con cucina italiana, e con proprietario incuriosito dalla nostra realtà. 

L’appuntamento è alle 19:00, ma noi arriviamo in largo anticipo per studiare la zona. L’esterno della pizzeria, sotto il porticato di un palazzo vecchiotto, non rievoca veri toni italiani. Ci consoliamo con una sosta nella Palacinka più famosa della città, per le sue crepes dolci e salate a prezzi super stracciati. Infatti c’è una fila lunga per l’attesa, ma siamo in anticipo. Ed è meglio tenere sopito il senso di fame durante l’incontro in orario di cena. Così abbondiamo con qualche palacinka in più, rigorosamente salata, e siamo pronti. 

Torniamo in pizzeria e ci presentiamo. Un cameriere ci invita ad accomodarci all’esterno, in attesa del proprietario che sta preparando una pizza. Bene, allora fa anche il pizzaiolo. 

Dopo pochi minuti, conosciamo Malek, non Malik, come ci tiene subito a precisare. E’ molto sorridente e caloroso. Ci vuole subito mettere a nostro agio e ci tiene a testare la qualità della sua pizza con veri italiani, insieme a una bottiglia di cola Kofola, mai sentita, e che è la sua preferita. 

Ma noi siamo tutti concentrati per la sua storia. Ha origini siriane, e si è trasferito da 20 anni a Bratislava. Suo padre è rimasto in Siria, la madre, la moglie e il fratello l’hanno seguito. Il fratello è il cameriere che ci ha accolto all’inizio. Gli occhi e le parole sono colme del dramma per la guerra vissuta sulla sua pelle, e per la situazione ancora oggi lì tumultuosa. Qui non si sente completamente a casa. C’è il peso della discriminazione per non essere nato qui, anche se è perfettamente bilingue, per le origini della madre. E all’inizio, neanche questo è stato sufficiente per accelerare la procedura con il passaporto, che gli serviva per trasferirsi. 

Da qualche anno, ha preso in gestione la pizzeria e ha cercato di migliorarne l’offerta culinaria, aggiungendo alcune tecniche italiane, apprese durante una stagione estiva trascorsa al nord Italia. Non è riuscito, però, a imparare l’italiano. 

Ancora oggi, i suoi concittadini alterano il suo nome, per dargli un tono più europeo. E non sono disposti a spendere di più per prodotti di qualità, perché non hanno la cultura di cosa significhi, quindi alla fine si è accontentato di un compromesso più basso, per contenere tutti i vari costi che deve sostenere. 

E’ lui il centro economico di riferimento per la famiglia. Il fratello è descritto come una testa calda, mentre si aggira al nostro tavolo con battute incomprensibili in arabo o slovacco, che noi non possiamo comprendere, per far ridere gli altri avventori. Si vede l’imbarazzo di Malik, che cerca di contenerlo, ha paura che, in qualche modo, noi possiamo cogliere qualcosa, e non vuole fare brutta figura con i suoi ospiti. 

Si vede che è sinceramente contento di essere lì con noi, a raccontare la sua storia, a parlare dell’Italia, della Puglia, che non conosce e non ha mai visitato, della buona cucina, e delle sue tecniche di ristorazione. 

Arriva la pizza con i funghi, che su suo consiglio abbiamo ordinato. Lui mette subito le mani avanti, dicendo che è farina del sacco del fratello, quindi potrebbe non essere come ce la aspettiamo, dato che sono a corto di un pizzaiolo, e che stanno faticando da mesi a trovarne uno che abbia voglia di lavorare. Apparentemente la sua offerta di 40€ al giorno, è un buono stipendio a Bratislava, ma non è sufficiente a individuare lavoratori seri che mantengano l’impegno per più di una settimana. 

Quindi si deve barcamenare con il fratello, a coprire anche la cucina, ma almeno a lui, al contrario del fratello, piace fare la pizza ed è confidente di aver imparato bene la tecnica.

In effetti, la versione di pizza del fratello non ha una faccia italiana, e anche al gusto ricorda sapori prettamente esteri: è molto biscottata, la mozzarella è formaggiosa e il sugo è dolciastro. Comunque gli diamo la soddisfazione, per lo sforzo e la dedizione, di un risultato che sembra convincere il resto dei clienti. Poi però, ci trinceriamo dietro l’italianità, che ontologicamente non può riconoscere come autentica una pizza con quelle caratteristiche. Non è colpa nostra. Eppure la mangiamo con gusto, perché siamo affamati e completamente conquistati dalla compagnia. 

E’ chiaro che non ci troviamo più lì in una veste business, ma in una profonda e vera volontà di condivisione  e di empatia puramente umana, antropologica. C’è un legame naturale che ci unisce, in una corrispondenza di amicali sensi. 

Intanto, il locale si è riempito e lui non ci lascia neanche per aiutare il fratello a portare avanti il servizio. 

Peccato che questo sia il nostro ultimo giorno in città, altrimenti avremmo continuato il piacere della frequentazione anche con il resto della famiglia. Lui è entusiasta dei nostri viaggi e del nostro progetto, anche se non rappresenta il nostro target. Ne vuole sapere sempre di più, così come noi che continuiamo a sommergerlo di domande.

A pizza finita, per aggiungere altra carne sul fuoco, e continuare a dilatare il tempo assieme, insiste per farci assaggiare il gelato “italiano”, che già aveva provato a proporci prima della pizza. Ne è orgoglioso perché tutti gli ingredienti vengono dall’Italia, così come la nuova macchina di lavorazione, che è stata un vero investimento. 

E’ più sicuro del gelato che della pizza, per il marchio di italianità. 

E questa volta dobbiamo dargli atto che il gelato può veramente professarsi di qualità italiana, per cremosità e sapore. Finalmente lo abbiamo reso fiero. 

Ormai sono le 21:30, lui ha iniziato a ricevere telefonate dalla moglie, e ci spiega che a quest’ora di solito è già a casa, per essere pronto prima dell’alba, per preparare tutti gli impasti. Il fratello esce e saluta per andare via.

Andrea mi lancia delle occhiate eloquenti per accelerare. Io sono rimasta da sola a finire le ultime cucchiaiate di gelato al cocco, e sto faticando tra il freddo della serata all’esterno, che inizia a intirizzirmi, e la pienezza dopo la pizza. A dire il vero, la porzione è stata generosa, quindi non sto temporeggiando appositamente, però ammetto che mi sto gustando gli ultimi momenti della conversazione. 

In extremis sono costretta a chiedere aiuto ad Andrea, per ultimare gelato e cola. Prima di salutarci gli lasciamo alcuni assaggi di prodotti italiani: lui è contento e ci rivela subito che sono troppo preziosi per la pizzeria, quindi troveranno una più giusta  collocazione a casa sua, tra le mani esperte della moglie, che saprà valorizzarli al meglio. 

Strette di mano, sorrisi, abbracci, e promesse di ripassare da lui al prossimo ritorno a Bratislava, perché di casa. 

Ecco compiuta la più pregiata definizione del luogo, che si esprime in tutta la sua spontaneità come a misura d’uomo.

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