Un viaggio ha senso solo senza ritorno se non in volo senza fermate né confini, solo orizzonti neanche troppo lontani. Io mi prenderò il mio posto e tu seduto lì al mio fianco, mi dirai destinazione paradiso.
Nove Paesi in due mesi e una settimana. Otto nazioni oltre confine italiano e diciassette città visitate alternativamente in due settimane, pochi giorni, una notte o solo di passaggio. Tre capitali vissute. Due edifici storici che ci hanno fatto da casa. Innumerevoli soste paesaggistiche per una foto, un pranzo al sacco, un pieno, una camminata, in luoghi più o meno remoti nel passaggio da un confine all’altro o nell’entroterra. Un paio di occhi nuovi. 6350 km percorsi con l’indomita Opel Corsa blu. 3 buoni TheFork da 50€ utilizzati. Sei autostrade. Due zaini e un trolley per contenere tutto l’armadio invernale, primaverile ed estivo. Sette prontuari di lingua straniera per prima conversazione. Quattro nuovi incontri ricchi di storie. Una multa. Un attacco acuto di allergia. Un attacco acuto di mal d’auto. Un attacco alla porta dell’appartamento. Quarantacinque piatti tipici assaggiati. Sei catene di supermercati nazionali studiati. Una Pasqua polacca. Un Giro d’Italia. Quattro diversi procedimenti di erogazione GPL appresi (?). Un souvenir a base di vini e salami sloveni. Quattro vignette acquistate. Un balcone completamente infestato di piccioni.
Riavvolgiamo il nastro della cassetta dall’inizio: finalmente si parte.
Abbiamo con orgoglio finemente progettato “il Piano Generale di Organizzazione e Partenza”, il c.d. “The Plan”. Questo doveva servirci a svolgere senza affanno e con rilassata tranquillità tutte le attività propedeutiche e necessarie a una partenza liscia, ma, ovviamente, con l’avanzare dei giorni e l’aumento delle complicazioni non previste, è stato trasformato in “Piano Emergenziale di Corsa e Fuga”, che, comunque, per vezzo continueremo a chiamare “The Plan”.
A dire la verità, sono proprio le prenotazioni delle prime settimane di viaggio, senza l’opzione di cancellazione, che ci hanno letteralmente incastrati a non poter più rimandare il non fatto ad nutum.
Avete presente quell’attrazione magnetica e fatale dello scivolare inesorabilmente all’ultimo momento utile per fare scattare il cocktail di produttività ed efficienza che ti permetterà di portare a termine tutte le scadenze? Certo, con meno sanità mentale, e più occhiaie e capelli bianchi. E’ il noto effetto deadline.
In questo momento, sono la regina dell’effetto deadline.
Al momento della partenza siamo certi solo della durata complessiva del viaggio, e dei primi quattro luoghi in cui ci fermeremo. Il resto dell’itinerario è tracciato sulla mappa per grosse linee, perché scegliamo di tenerci la libertà di farci ispirare dalle sensazioni dei luoghi, per decidere dove ci fermeremo più a lungo e come ci arriveremo.
Prima tappa Città di San Marino, perché siamo in palese astinenza e non possiamo fare più a meno del primo marchio estero, anche in terra italiana.
Viaggio sostenibile e tranquillo, con temperature nettamente invernali, a cui però ci siamo preparati. L’arrivo, quindi, avviene in orario programmato, senza intoppi, lasciandoci il tempo per fare un giro esplorativo nel centro della città e per scegliere dove cenare con qualcosa di tipico.
Per la prima volta da quando ci muoviamo in macchina tra le varie capitali e capoluoghi, non abbiamo alcun problema di parcheggio: l’intera zona è a noi dedicata, in un vuoto tale che ci fa sorgere l’atroce dubbio che si tratti di un luogo sicuramente proibito, in cui la macchina verrà alternativamente, o cumulativamente, scassinata, derubata, rimossa o sanzionata.
Sarebbe proprio un buon inizio. Ma di fronte alla mia indicazione del segnale blu, con una “P” che, pur nel rispetto della sua identità, la lingua sammarinese non poteva riscrivere diversamente, ci mettiamo l’anima in pace, parcheggiamo e procediamo verso il centro.
Per strada continua l’atmosfera surreale da luogo abbandonato.
Non incontriamo neanche per sbaglio altri individui, a gironzolare o a dirigersi verso una più precisa destinazione. E’ un mercoledì sera di fine marzo, ben oltre l’orario turistico pieno di carovane, di pullman, scolaresche, e negozi aperti, a cui la città è abituata.
A rendere la situazione ancora più spettrale, si aggiungono fitte coltri di nebbia che nascondono completamente il paesaggio circostante dall’alto del monte Titano. Infatti, non solo è impossibile scorgere la panoramica dell’orizzonte, ma non sembra fattibile neppure fotografare le torri o la statua della Libertà, almeno come simbolo, nella piazza omonima. Potrebbe ancora andare metereologicamente peggio, ma inizia pure a diluviare con una certa intensità.
San Marino ci vuole gentilmente congedare, con il poco che aveva da offrire questa sera.
Così, non ci resta che ritrarre noi stessi per imprimere i primi ricordi del viaggio.
A questo punto, in assenza di un qualsiasi passante, e del nostro treppiede nuovo di zecca acquistato con l’occasione della partenza, ma dimenticato nel parcheggio proibito, l’unica soluzione per mostrarci assieme, è quella di lasciare il cellulare il bilico sul gradino bagnato, con l’autoscatto di 10 secondi, fare uno scatto felino, ma incerto, per mettersi in posa, sorridere e spostare coraggiosamente l’ombrello, al di là della nostra testa, per rendere almeno noi perfettamente riconoscibili.
E garantiamo sulla parola, che quella che si vede al di là delle nostre spalle e del nostro ombrello è proprio la statua della Libertà, in piazza della Libertà, a San Marino città. Destinazione paradiso? Non si direbbe…