La lista della FOMO

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L’irrequietezza è un mio marchio di fabbrica che trova la sua espressione anche (o soprattutto)...

L’irrequietezza è un mio marchio di fabbrica che trova la sua espressione anche (o soprattutto) in viaggio. 

Il luogo di destinazione viene accuratamente studiato in una fase preparatoria, per coglierne le sfumature più classiche e quelle più insolite, i posti imperdibili da visitare, in cui gustare il cibo locale, e le attività esperienziali più caratteristiche. Questo tipo di programma diventa più o meno condensato a seconda dei giorni che si hanno a disposizione nel luogo. 

Il risultato è che si deve raggiungere quella che ritengo la soglia critica di tour esplorativi tipici, per poter annoverare il luogo all’interno del bagaglio di esperienza. E quella soglia “critica” coincide proprio con l’intera lista di soste e attività programmate, prima o durante la partenza, con l’inevitabilità di prepararsi a un tour di force per non perdere nulla, soprattutto quando la permanenza è solo di pochi giorni. La classica FOMO da viaggio. 

Ora, in questo viaggio, le soste di pochi giorni sono una minoranza, rispetto ai periodi più lunghi, di più settimane, da trascorrere nello stesso luogo, per poter controllare con maggiore facilità e stabilità anche la nostra situazione lavorativa. E questo contribuisce subito a tenere sotto controllo quell’irrequietezza sopita. Ma non ci si può adagiare troppo. D’altronde Budapest è sempre Budapest, e due settimane, in fondo, non sono così tante per ottenere il badge of honor, se non ci si mette in riga. 

I primi giorni di pioggia ci godiamo il distretto del Castello, in cui si trova il nostro appartamento, e spuntiamo nella lista solo la casella della pasticceria storica di 200 anni, con la torta alla crema tipica fatta in casa e lo strudel. 

Poi qualcosa cambia. 

Budapest diventa la città della corsa mattutina al Bastione dei Pescatori, della passeggiata serale lungo la National Gallery per godere del Parlamento illuminato, del tifo per il Giro d’Italia, delle soste pomeridiane nelle caffetterie accoglienti, meno famose, che adocchiamo per strada, e in cui poter lavorare in tranquillità, a morsi di brownie cremosi e banana bread cioccolatosa, delle cene italo-ungheresi in appartamento. 

Ovviamente Budapest è stata anche passeggiare nel centro frenetico della movida, fare il tour interno del Parlamento, attraversare l’isola di Margherita, fare la fila per il langos al mercato centrale, scattare qualche foto nei ruin bar a più livelli, prenotare in largo anticipo per la cena al locale più in voga, con un’atmosfera informale e casual, nel mezzo del quartiere ebraico, fermarsi a prendere il classico menù turistico a base di zuppa di goulash in un bar molto affollato, con qualche effetto intestinale collaterale del giorno dopo, frequentare la Street Food Court per farsi trasportare dall’addio al nubilato o celibato del giorno, e infine farsi un bagno nelle terme storiche. 

Alla fine, non posso dire che quella lista non sia stata onorata. Ma non è stata quella a fare la differenza. Ciò che ha creato un vero e profondo legame con la città, è stato ogni momento apparente di vita quotidiana, trascorso in un qualche modo speciale. 

Un’altra tradizione fissata in questo viaggio è quella di chiudere l’ultimo giorno con la scelta del momento e del luogo più significativo dell’intera permanenza, per replicare l’esperienza, in un ultimo saluto celebrativo alla città. 

La prima sera a Budapest siamo arrivati tardi, stanchi, confusi con il sovrapprezzo dell’auto per l’accesso nel distretto del Castello. Già alle 21:00 il ristorante di fronte al residence ci ha comunicato la chiusura della cucina, e siamo rimasti a spasso alla ricerca di qualcosa di tipico, gustoso e non troppo caro. 

Dopo vari tentennamenti, siamo finiti nella catena di hamburger Bamba Marha, con la consolazione che fosse più locale e tipica del vicino McDonald’s, ad azzannare l’hamburger con il pane azzurro, lo speciale del mese, per me e l’hamburger tradizionale, in onore del nome della catena, per Andrea. 

Per l’ultima sera abbiamo deciso di replicare proprio il Bamba Marha, per la sua accoglienza inaspettata, ma con una variante: servizio da asporto, per cena al sacco sul Bastione del Pescatore, a lume di illuminazione soffusa. 

Il trucco del bastione, luogo sempre affollatissimo di giorno, è che la sera, quando tutti i turisti si riversano sull’altro lato della città, diventa un luogo veramente romantico e quasi mistico. Il tornello per salire resta aperto e ci si siede ad ammirare la vista immensa, da cui brilla il Parlamento. 

Oltre ai panini, abbiamo portato dall’appartamento due calici, con il vino ungherese. L’ultima cena è così veramente perfetta. 

A completare la trance del momento, il violino del musicista ai piedi della scalinata del bastione. 

Era già diventato una presenza familiare durante le nostre passeggiate serali, ci faceva compagnia con i suoi rituali per la scelta delle canzoni, le pause, il ringraziamento ai passanti interessati, il suo portamento e la sua passione coinvolgente. 

E’ così che abbiamo salutato il calore di Budapest come se fossimo a casa, in una separazione sempre dolorosa da un posto che diventa il luogo del cuore. 

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