Ritardi

1/xx

– Giro a sinistra? Giro a sinistra.  – No, non ci credo. Ho sbagliato di...

– Giro a sinistra? Giro a sinistra. 

– No, non ci credo. Ho sbagliato di nuovo! Abbiamo preso di nuovo la discesa.

È il terzo giro identico ed ora inizio seriamente a temere di aver perso già gran parte delle mie facoltà mentali, e non sarebbe certo il momento buono, alle sette del mattino, con un volo intercontinentale da prendere in un aeroporto che non conosco.

Il primo articolo sull’India inizia in Spagna, a Madrid, aeroporto di Barajas, due ore prima del volo per Abu Dhabi, scalo obbligatorio per giungere a Chennai. Ed inizia qui, perché un viaggio lungo richiede una lunga preparazione, ma è sempre difficile evitare decisioni last minute. Sorvolerò sulla preparazione, ma le decisioni dell’ultimo minuto possono portare a ritardi problematici, mentali e temporali.

Consideriamo il seguente problema: come fare a lasciare l’auto per due lunghi mesi in un parcheggio sicuro, possibilmente vicino all’aeroporto, senza farsi spennare come polli?

(Apro subito una parentesi per considerare un attimo il business dei parcheggi: un ampio spazio vuoto all’aperto o coperto più o meno custodito, ammassi di metallo fermi nella stessa posizione, zero lavoro, 10-15€ al giorno ad ammasso. Motivazione principale per l’esistenza: se lascio l’auto in uno spazio aperto quando torno, se va bene, trovo l’auto sventrata, se va male, trovo l’ombra. E’ così che fiorisce il business. Chiusa parentesi.)

La ricerca preventiva di pseudo low-cost (fare riferimento alla parentesi di prima) ha portato alla scoperta di una nuova app, sponsorizzata in effetti da uno dei massimi… concessionari di parcheggi, e che almeno fa qualcosa di più di chi ti fa un prezzo più basso: arrivi con l’auto in aeroporto ed un addetto prende in custodia l’auto e la parcheggia dove c’è posto. Quando torni, te la riporta agli arrivi. Accettiamo l’affare, confidenti che tutto andrà bene: l’app mi dà una posizione di consegna su Google Maps e l’addetto mi chiamerà la mattina alle sette, mezz’ora prima della consegna, per confermare la posizione.

Se leggendo vi è venuta la stessa espressione facciale che ho fatto scrivendo, labbro inferiore che si alza leggermente su quello superiore, palpebre che si aprono un po’, è perché state subodorando quello che sta per succedere.

L’addetto non chiama. Dal suo numero spagnolo, non si azzarda a chiamare il mio italiano. La posizione su google maps è precisa e decido di fidarmi di quella, ma le indicazioni di google maps sono meno precise. Soprattutto, quando un aeroporto ha due livelli, sopra e sotto, distanziati di venti metri, la posizione google maps diventa quantomeno ambigua: sopra o sotto?

Completiamo i messaggi inviati dall’universo: in macchina mi arriva l’avviso mai giunto prima – “hai finito i giga all’estero”. Ok, pagherò tutto quello che devo pagare, lasciami il navigatore!

Qualche anno fa, alla guida avrei dato maggiore attenzione alle indicazioni stradali, quest’anno, alle sette del mattino, sento di fidarmi solo di Google Maps e provo a capire quale svincolo prendere e per tre, dico tre volte consecutive, prendo quello sbagliato. Non so più di quale ritardo preoccuparmi: Silvia dice destra ed io giro a sinistra, invece che andare sopra, andiamo sempre sotto.

Un volta torniamo indietro da una strada lunghissima, due volte tagliamo dal parcheggio inferiore e facciamo tutto il giro.

Ed il ritardo si accumula anche sull’orario di consegna auto, nonché sull’orario di partenza del volo (9:45).

Ancora un giro. Concentriamoci. Seguiamo la nuova indicazione alternativa di Google Maps. Di qua non si può andare, devo per forza girare di là e improvvisamente tutto sembra andare al rallentatore, mentre si spalanca nuovamente la discesa per il parcheggio inferiore.

L’ennesimo – No! – ha in realtà una trentina di “o” che non mi metterò a digitare.

Basta. Ci arrendiamo. Sono le 7:45, non sto capendo nulla, andiamo ad un parcheggio qualsiasi “larga estancia”, molliamo l’auto e basta.

Seguiamo ligi le indicazioni stradali, ci allontaniamo qualche km dall’aeroporto, entriamo nel parcheggio, troviamo un posto, andiamo ad aspettare il bus che ci porterà in aeroporto. Ora posso pure aprire l’app, cercare il numero spagnolo dell’addetto e far chiamare Silvia. Zaini in spalla, nervoso alle stelle, saliamo sul bus, percorriamo trenta metri ed il bus si ferma: sale un responsabile del parcheggio. Contemporaneamente, Silvia è finalmente al telefono con il tipo che doveva prendere l’auto. Cerco di ascoltare Silvia, ma il tipo del parcheggio mi parla in spagnolo, vorrà il biglietto, pago quello che vuole. Mi prende per uno con qualche ritardo (diversi, avrei voluto dirgli) e mi spiega: “hai prenotato con l’app, non devi parcheggiare qui o quando torni vai dritto a farti esportare un rene per pagarci”.

Lo guardo con lo sguardo di chi si sente nel Grande Fratello, ma in effetti ha tutto senso: la compagnia è la stessa, il numero di targa è registrato, hanno addirittura i sistemi sincronizzati.

Ci fa scendere e ci dà nuove indicazioni. Indicazioni che accoppiamo con quelle del parcheggiatore, che Silvia ha, nel frattempo, convinto ad usare WhatsApp per contattarci, senza pagare, e ad inviarci la posizione precisa.

Torniamo all’auto parcheggiata (solo dopo aver pagato 1€ per 5 minuti di parcheggio) e ripercorriamo la strada per l’aeroporto, stavolta forti delle indicazioni verbali e della posizione precisa su WhatsApp.

Dobbiamo seguire “Salidas”, ma incredibilmente, e saranno cinque, prendo la discesa. Ora è troppo per qualsiasi essere umano, se inizio così un viaggio in India, le possibilità di sopravvivenza sono zero, siamo onesti.

Azzero il cervello, quasi chiudo gli occhi a qualsiasi input esterno, e decido che al nuovo loop seguirò solo le indicazioni di Silvia. È il sesto tentativo, ed è quello buono. Quasi non sembra vero lasciare la macchina all’addetto dell’app, che ci sta aspettando davanti all’ingresso partenze, in uno spazio in realtà ben delimitato da un gigantesco cartellone dell’app. Insomma, siamo onesti, nel luogo più facile e prevedibile possibile.

Pericolo scampato, ritardo limitato e ininfluente, bagagli pronti all’imbarco, anche il giusto tempo per arrivare al gate.

Nel cervello mi frulla solo un’ultima, insensata, domanda: considerando che in spagnolo “salida” significa soprattutto “uscita”, per indicare l’ingresso delle “partenze” era veramente  il caso di usare il termine “salidas” (termine che in spagnolo indica anche le partenze)? Nel senso, siamo di fatto entrati in aeroporto dall’“entrada” delle “salidas”, dall’entrata delle uscite. Ok, lo so, devo interpretare la parola. Lasciamo perdere. 

Scuoto la testa. Ritardi. Questa, per ora, la tengo per me.

Hai raggiunto la fine di questa storia.
Ma è solo l'inizio del viaggio...

Condividi il nostro viaggio e ispira altri

Le altre storie in questo capitolo

Scopri tutti i capitoli

Inspiration at your fingertip…

Registrati alla nostra newsletter

E rimani aggiornato su tutte le storie