L’incantesimo del museo offre un’esperienza coinvolgente, dove arte e fame si intrecciano in un viaggio indimenticabile
La discesa verso il profondo sud è resa ancora più difficoltosa da combinazioni di voli con scali in orari notturni, che richiedono quindi un’altra sosta prima della destinazione finale.
A questo punto, abbiamo optato per la ricerca dei voli più convenienti in sparse capitali europee, da cui poi ripartire dopo qualche giorno per casa, mettendo in campo l’approccio di necessità virtù, sempre gradito per il tema viaggio.
Così da Tallinn giungiamo a Vienna, per un altro bel fine settimana invernale, in un’altra bella capitale europea a metà strada.
Ci accoglie subito un prezioso abbonamento del trasporto pubblico per 48h, che offre una qualità dei mezzi confortevoli e tecnologizzati, e un check-in nella stanza prenotata completamente automatizzato, con uno schermo su cui completare e firmare la registrazione degli ospiti esclusivamente a distanza.
Accogliamo molto positivamente tutti questi spunti innovatori, che vogliamo trasferire ad altre idee in cantiere, e ci godiamo fin da subito il clima freddo, ma non come sopra ed in assenza di neve e ghiaccio per le strade, per muoverci senza allarme.
Il tempo è poco e la lista da vedere è lunga, quindi è il momento di fare delle scelte sofferte: lasciamo da parte il primo della lista, il Schönbrunn Palace, perché programmiamo di tornare a visitarlo in primavera, con una fioritura radiosa, per apprezzare anche tutti i suoi esterni, (chissà se mai terremo fede a questo proposito) e puntiamo all’interno del Belvedere Palace, in una giornata con nuvole grigie e minacciose.
Arriviamo sul posto alle 12:30, dopo aver fatto una buona merenda in una panetteria turca. Siamo, quindi, tranquilli che potremo pensare al pranzo solo all’uscita, ma per ogni evenienza la nostra organizzazione prevede pure di portare sempre nello zaino qualche sacchetto di frutta secca.
Ed ecco che, ancora una volta, per me, varcata la soglia, si attiva l’incantesimo del museo: il tempo si dilata e si espande come se fossi entrata in un’altra dimensione.
Un Sottosopra in cui fluttui tra un quadro e l’altro, alla ricerca di piccoli particolari che aggiungono significato alla descrizione in didascalia, in questo percorso esplorativo, più o meno direzionato, su più piani e più stanze, assieme a compagni di viaggio più o meno attenti, più o meno molesti.
E’ un viaggio personale verso ciò che ciascuno considera la parte più intensa dell’esposizione. C’è chi punta subito alla stanza di Klimt, c’è chi, come me, si pregusta il momento in cui la attraverserà, dopo aver indugiato a sufficienza nel resto del viaggio del museo.
Così, si assapora pure l’attesa che cresce prima del momento topico.
C’è un’altra cosa che cresce esponenzialmente: la fame. Suoni inequivocabili di fame che fanno da colonna sonora al viaggio visivo, e che in parte ne disturbano la caratura, spostando l’attenzione ad altri bisogni primari.
Ogni stanza presenta chiari segnali da cui si desume un esplicito divieto a consumare bevande e cibo: infatti, qualsiasi necessità del genere viene indirizzata alla lussuosa Caffetteria del Museo, per toast e dolcetti in crosta aurea.
No, non è il caso di farsi adescare di pancia, d’altronde abbiamo portato nocciole e mandorle per uno snack rapido, troviamo come appartarci per una consumazione veloce del nostro spuntino, e riprendiamo il viaggio nel Sottosopra.
Ormai sono le 16:00, e dobbiamo tenere conto che non avremo a lungo la sensazione di pancia piena. E’ il momento di accelerare l’ascesa verso l’apice, tra folle di selfisti in mascherina, che ne impediscono uno studio approfondito, e un ritmo incalzante dei sempre nuovi visitatori.
Ci assicuriamo anche noi alcuni scatti classici e con malinconia ci destiamo dall’incantesimo.
Nel mondo reale ormai sono le 17:30, e forse dovremmo pensare a un anticipo di cena, dato il livello di appetito. Ci spostiamo verso il centro e lì ci viene l’idea di azzardare la ricerca di un posto al rinomato Cafè Sacher: solo quella torta può rappresentare un degno recupero di pranzo e merenda, con un passaggio dal viaggio visivo a quello gustativo.
La fila all’ingresso non scorre velocemente, e chi entra sembra avere già una prenotazione. Ci proviamo lo stesso per qualche minuto.
Siamo anticipati da due gruppi di signore vestite in maniera molto elegante, che parlano una lingua che sembra russo. Il cameriere chiede per prima cosa l’ultimo attestato di vaccinazione: l’accesso è consentito solo a chi ha completato le tre dosi. Le signore protestano e discutono animatamente spiegando che in Ucraina non è obbligatoria la terza dose e che hanno diritto di entrare. La politica del locale è insindacabile e i due gruppi sono costretti ad andare via rumorosamente.
Così, sorpresi, ci ritroviamo di fronte al cameriere già con il certificato della terza dose in mano: grazie a Comirnaty ci siamo guadagnati l’ultimo tavolino libero del locale, sopraelevato e in vetrina, per goderci tutto l’interno e l’esterno e per rifocillarci a suon di Original Sacher-Torte dal 1832.
I migliori 25 euro spesi in caffetteria, rotolo di carta igienica incluso, ma questa è una storia per il prossimo racconto.